Come funziona un cervello felice? Me lo sono chiesta spesso.
Ho passato molto tempo a cercare di osservare i miei funzionamenti: a chiedermi quando sono più produttiva (che cronotipo sono?), a provare a indagare il modo in cui compio delle scelte o a trovare escamotage che mi permettessero di non dimenticare qualcosa (sì perché il cervello non funziona per ricordare ma preferisce di gran lunga creare connessioni, trovare soluzioni).
In che modo, mi sono chiesta, posso pianificare le mie azioni affinché il mio cervello resti felice?
Cosa serve a un cervello per essere felice
“Con la metafora del ‘cervello felice’ mi riferisco semplicemente al fatto che in certe condizioni, peraltro numerose, il cervello umano tende ad assumere una posizione base che pone come priorità assoluta evitare le perdite, limitare i rischi, scongiurare i danni”.Da Cosa rende felice il tuo cervello di David Disalvo, Bollati Boringhieri, Torino, 2019.
Un cervello felice è quindi un organo sostenibile: evita gli sprechi e si assicura che non si disperdano energie, decisamente moderno. Eppure potremmo definirlo anche un organo retrogrado, che difende stabilità e certezze, restio a ogni cambiamento. D’altronde lo avrai notato anche tu: imprevedibilità e instabilità sono due concetti che connotiamo spesso in maniera negativa quando altro non sono che l’espressione dell’impermanenza, un principo meditativo per cui tutto cambia continuamente. E stare nelle cose mentre cambiano, e noi con loro, è forse uno dei concetti che ho accolto con più fatica.
Eppure il cervello è anche un organo plastico: si modifica e si riforma di continuo. Pensa al modo meraviglioso in cui puoi apprendere nuove parole, sensi, concetti. Pensa ai collegamenti neurali che si attivano ogni volta che recuperi una conoscenza acquisita, rinsaldandosi.
Mi sono chiesta, allora: può la pianificazione rendere felice il mio cervello, considerando che introduce degli elementi di stabilità e delle certezze ma allo stesso tempo comporta un altissima dose di flessibilità (perché gli imprevisti esistono e accadono, questa sì che è una certezza incontrovertibile)?
Il modello di pianificazione naturale rende il cervello felice
David Allen in “Detto, fatto! L’arte di fare bene le cose” (di lui e del suo libro ne avevo già parlato in questo articolo) parla di un modello di pianificazione che definisce “naturale”, perché segue il modo in cui il cervello funziona.
1. Definire scopi e principi
La prima domanda che ci poniamo è sempre questa: perché?
Sapere perché compiamo determinate scelte e azioni permette di avere chiara l’intenzione. E inoltre aumenta la motivazione.
Aiuta a stabilire un criterio solido per le nostre decisioni. Ci permette di fare i conti con quello che abbiamo: tempo, energie e denaro sono risorse scarse e limitate (a meno che tu non sia Elon Musk!) e bisogna usarle con contezza. Per anni ho lavorato in maniera precaria eppure avere chiaro in mente il mio perché mi ha permesso di investire in formazione, risparmiare sulle spese che potevo evitare e concedermi invece delle spese che facevano bene al cuore (viva le birre con le amiche!).
Non si tratta di rinunciare a qualcosa ma di investire sul nostro perché: cambiare atteggiamento e smettere di usare l’ottica di scarsità e provare invece a guardare l’abbondanza del nostro perché, delle risorse di cui disponiamo (perché dovrei guardare a quello che non ho, se non ce l’ho?) e impegnarci a raggiungerlo.
Anche i principi sono dei criteri importanti per orientare le nostre scelte: aiutano a stabilire dei limiti. Sono le condizioni che poniamo, una specie di confine oltre il quale non ci mettiamo perché sappiamo che non ci farebbe stare a nostro agio (e i confini, si sa, a volte hanno proprio una funzione protettiva). Quali sono i tuoi principi? Come rientrano nella tua quotidianità? E quali sono le condizioni necessarie che se non rispettate ti rubano energia, ti fanno sentire di non aver fatto abbastanza?
Nella società della performance i limiti sono sempre più sottili, e superarli, strafando è un imperativo: eppure spesso questo andare oltre, che è anche un andare oltre noi stess3, non ci appaga. Ecco perché è importante riconoscere quei principi che per noi sono importanti in questo momento e dettare delle condizioni alle nostre azioni: “Mentre lo scopo [il perché ndA] fornisce l’essenza e la direzione di un progetto, i principi definiscono i parametri dell’azione e il criterio per tenere una condotta eccellente”, scrive David Allen.
2. Visualizzare il traguardo
Avere uno scopo e dei principi, rende il nostro cervello felice e appagato (già nel breve termine) ma non basta.
Hai mai giocato a “facciamo finta…”? (Se non la conosci c’è una bellissima canzone di Niccolo Fabi che può ispirarti). Era uno dei miei giochi preferiti da bambina: immaginavo situazioni, ogni oggetto si trasformava in qualcos’altro e io potevo sognarmi diversa. Questa dimensione immaginativa e di gioco possiamo riportarla anche nella nostra vita professionale e non. Allen lo definisce un momento di “concentrazione libera“, una specie di sogno a occhi aperti ma molto serio (proprio come i giochi di quando si è bambin3).
Restare focalizzat3 su queste immagini rende il cervello felice, che potrà ricercare, collezionare, notare corrispondenze nel frattempo: ti capita mai di pensare a cosa scrivere e quando ti raggiunge un’idea poi subito dopo, nei giorni successivi, altre idee si fanno spazio?
Senza contare che visualizzare un traguardo ci aiuta a capire cosa fare per raggiungerlo: a risalire, una per una, alle azione che hanno generato il risultato. Fino ad arrivare alla prossima azione che possiamo fare già adesso.
3. Fare un brainstorming
Ma immaginare non basta. Quando visualizziamo una nuova situazione il nostro cervello si trova un po’ spiazzato: non avendo mai raggiunto quel traguardo si chiede come fare per raggiungerlo (he sì, il nostro cervello è principalmente un grande problem solver). Per colmare questo gap tra ciò che sa e la visione nuova che ha avuto si mette quindi all’opera: è il momento del brainstorming. Ci propone una serie di idee disordinate, una dopo l’altra. Ed è un momento delicato perché deve essere libero: da giudizi, pregiudizi, valutazioni e false credenze. In questa fase dobbiamo avere il coraggio di farci spazio, senza giudicare in anticipo cosa ci viene in mente, senza analizzare le idee o pensare alla fattibilità. E non dobbiamo darci un limite: in questa fase conta la quantità, non la qualità.
Mettere nero su bianco queste idee permette di generarne altre: usare disegni (anche brutti, ne ho scritto qui), colori, collage, ogni strumento che ci aiuti a generare connessioni e significati è importante. Scrivere a mano permette di rafforzare la connessione neuro-cerebrale tra pensiero e manualità, aiuta la concentrazione e rafforza la memoria.
4. Organizzare
Hai presente quando inizi a pensare di comprarti un certo tipo di stivali e vai in giro e ti sembra di vederlo addosso a chiunque? Be’ un cervello è felice quando può riconoscere delle corrispondenze: ecco perché a riguardare dopo un po’ di tempo tutti gli appunti del brainstorming riuscirai a riconoscere insiemi, ricorrenze, sequenze. Ecco che affiora, secondo Allen, “un ordine naturale”. In questa quarta fase è bene identificare tutte le parti importanti emerse, riordinarle, seguire il filo del prima e dopo e assegnare una priorità a tutto, avendo bene a mente il nostro perché e i principi che ci guidano.
5. Identificare le azioni successive
E ora che abbiamo un perché, dei principi che lo regolano, una visualizzazione chiara e tante idee ben ordinate?
È arrivato il momento di farci un’ultima domanda: qual è la prossima azione da fare?
Possiamo muoverci in due direzioni: da dove siamo ora a dove vogliamo arrivare, pianificando un’azione dopo l’altra. O forse possiamo fare l’opposto: partire dalla visualizzazione e chiederci qual è stata l’ultima azione che abbiamo dovuto fare per arrivare lì. E quella prima ancora, fino ad arrivare a dove siamo adesso.
Sono due movimenti che puoi sperimentare in base a come ti senti più a tuo agio: io di recente sto cercando di esercitarmi partendo dal traguardo raggiunto e andando a ritroso perché trovo che questo metodo (grazie a Pamela Serena Nerattini che ne ha parlato in un webinar) mi dia una maggiore motivazione.
Ad ogni modo in questa ultima fase è necessario calare il tuo sogno visualizzato in azioni concrete, reali, misurabili (e possibilmente con una scadenza).
E se qualcosa non va come avevi previsto?
Se la visualizzazione si affievolisce presto sommersa dall’urgenza delle cose da fare?
Ricorda sempre di fare almeno tre grandi respiri: la pianificazione è un modo bellissimo per aiutarci a trovare intenzione, concentrazione e motivazione. E se a volte la vita capita come non avresti pensato: sii compassionevole e prova a immaginare un nuovo traguardo, anticipa o posticipa qualche azione da fare.
Ricorda sempre di fare almeno tre grandi respiri: la pianificazione è un modo bellissimo per aiutarci a trovare intenzione, concentrazione e motivazione. E se a volte la vita capita come non avresti pensato: sii compassionevole e prova a immaginare un nuovo traguardo, anticipa o posticipa qualche azione da fare.
Un respiro, dopo l’altro.

Io sono Sara Cremaschi, la tua assistente virtuale mindful.
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